Chaos e clima, i denominatori comuni

Che ruolo ha il cambiamento climatico nella diffusione dei virus e quali sono gli effetti della pandemia da Sars-Covid-2 sulll’ambiente?

La diffusione del nuovo Coronavirus è la crisi che tutti i paesi stanno attraversando in questi primi mesi del 2020, subito dopo aver assistito alla morte di migliaia di animali negli incendi che hanno devastato l’Australia ed insieme all’anomalo sciame di locuste che ha attaccato Etiopia e Somalia.

 Visto in questi termini lo scenario è apocalittico e fa sorgere spontanea la domanda: “Cosa ha favorito la comparsa di queste catastrofi naturali in tempi così ravvicinati?” La risposta sta nel cambiamento climatico.

Come il cambiamento climatico favorisce la diffusione dei virus

Sonia Shah, divulgatrice scientifica e relatrice al TEDGlobal 2013, suggerisce di non cercare la causa del Coronavirus in animali esotici portatori del patogeno ma di scavare più a fondo ed analizzare l’impatto umano sull’ambiente. La caccia all’animale incriminato ha infatti presentato diversi indiziati tra cui pipistrelli e serpenti nascondendo le tracce però del vero assassino: la repentina perdita degli habitat naturali.

Dal 1940 centinaia di patogeni sono emersi in nuovi territori dove non erano stati mai avvistati prima: è il caso dell’HIV, dell’Ebola, della Zika e di “altri coronavirus” che per il 60% sono di origine animale, in particolare da animali selvatici dove tuttavia vivono in maniera innocua, senza cioè trasmissione all’uomo.

Come è possibile quindi che un virus di origine animale e originariamente non trasmissibile diventi invece così mortale per l’umanità?

L’adattabilità del virus è favorita dalla crescente industrializzazione, dal disboscamento e dalla crescita delle città; questo spinge gli animali, anche i più selvatici, a concentrarsi in zone sempre più esigue ed in stretto contatto con gli umani. Il contatto ripetuto permette ai microbi di trasmettersi e adattarsi al corpo umano trasformandosi da benigni per l’animale a mortali per l’uomo. Si tratta del cosiddetto salto di specie: i virus a RNA tendono a mutare molto rapidamente e in più occasioni sono stati all’origine di epidemie e pandemie anche nell’uomo. Può accadere che un virus effettui il salto di specie, incrementi il suo bacino di infezione e aumenti le sue capacità di duplicazione infettando altre specie.

E’ il caso dell’Ebola: secondo uno studio del 2017, lo scoppio dell’Ebola legato ad alcune specie di pipistrelli si è concentrato in alcune zone centrali e occidentali dell’Africa dove erano avvenute recenti deforestazioni: questo ha spinto i pipistrelli a trovare rifugio nelle foreste o sugli alberi dove è più probabile il contagio con gli esseri umani.

Ma non si tratta solo della distruzione di un habitat, aggiunge Sonia Sahah, ma anche di che cosa viene costruito al posto delle foreste che aumenta il rischio di emergenze sanitarie e un ruolo importante lo hanno anche gli allevamenti intensivi ed i mercati di carne. E’ in questo contesto che l’ambiente ha favorito l’emergere della SARS nel 2002/03 e probabilmente l’attuale pandemia da coronavirus. Pensiamo ai luoghi in cui animali di specie diverse si trovano improvvisamente a stretto contatto, chiusi in gabbie e in scarse condizioni igieniche: è qui che il contagio e la trasmissibilità del patogeno all’uomo è altamente probabile.

Infine Sonia Shah, citando l’epidemiologo Larry Brilliant afferma che “I focolai sono inevitabili ma le pandemie sono opzionali” sottolineando così il ruolo decisivo che hanno le scelte umane nel progresso e nella salvaguardia del pianeta e della vita.

Coronavirus e cambiamento climatico a confronto

Le scelte politiche messe in atto dai governi per contenere la diffusione del Covid-19 sono state relativamente immediate rispetto a quelle invece all’emergenza climatica in corso. Entrambe sono minacce invisibili, mortali e dipendenti dall’uomo, eppure presentano alcune differenze che sottolineano quanto l’uomo, forse perché ormai abituato a comfort e a una visione del mondo totalmente differente dal passato, sia in grado di percepire il rischio solo in casi di estrema emergenza. Perché si teme più il Coronavirus che il cambiamento climatico?

Le ragioni di questo comportamento sono soprattutto di origine economica e culturale: secondo la rivista Fobes gli importanti interessi economici legati ai combustibili fossili sono il primo ostacolo da superare insieme all’atteggiamento culturale che nega o tenta di non notare i collegamenti tra l’azione umana e le sue conseguenze sull’ecosistema, questo è dovuto soprattutto al fatto che  gli effetti imputabili principalmente ad origini naturali non sono sempre immediati mentre la diffusione del Coronavirus ha forzato la risposta dei governi e un completo cambiamento comportamentale poiché i suoi effetti sembrano più reali, più immediati sia sulle vite colpite dal virus che sull’economia.

Le misure di contenimento varate per far fronte al coronavirus hanno la caratteristica di essere temporanee, un fattore che probabilmente le rende più facilmente accettabili dai cittadini piuttosto che quelle legate al cambiamento climatico e che, sicuramente, hanno un orizzonte temporale molto più ampio e che, se prese seriamente, causerebbero inevitabilmente la chiusura di tutte quelle industrie legate ai combustibili fossili.

Un’altra differenza tra la risposta al coronavirus e quella al cambiamento climatico risiede nel potere delle modalità di comunicazione di norme e consigli promossi dalle istituzioni, degli esperti e dei medici. Se nel caso del virus i media brulicano di suggerimenti per contrastare il contagio, in quello della lotta al cambiamento climatico anche la riduzione del consumo di carne sembra un cambiamento troppo difficile da introdurre nella quotidianità.

Il contrasto tra la rapida risposta al virus e la ‘letargia’ nei provvedimenti a favore dell’ambiente ha ragioni soprattutto economiche e culturali tuttavia, questo stato di crisi in cui ci troviamo oggi, può essere sfruttato a vantaggio dell’ambiente e per trasformare alcune delle misure covid temporanee nei cambiamenti di lungo termine prima citati. Ad esempio, si potrebbe investire maggiormente su un’attività di consapevolizzazione dell’impronta ecologia che le pratiche di smartworking e di digitalizzazione delle scuole sta avendo sull’ambiente e quindi sulla riduzione dell’inquinamento a seguito della limitazione degli spostamenti.

Gli effetti positivi del cambiamento

La chiusura delle attività ed il distanziamento sociale sono misure drastiche che non hanno avuto solo effetti positivi sul contenimento del nuovo coronavirus ma anche sull’ambiente. ‘’ Tutte le volte in cui eviti di salire su un aereo, in macchina o di mangiare carne hai evitato di inquinare l’ambiente’’ afferma K. Nicholas, ricercatrice all’Università della Svezia: ricordiamoci che siamo tutti connessi dai semi alle stelle come racconta Giorgio Vacchiano a TEDxBustoArsizio nel 2019.

A Venezia i canali solitamente limacciosi per il passaggio delle imbarcazioni sono ora più limpidi che mai; in Cina i cieli sono ritornati azzurri e la NASA ha registrato una significativa riduzione dell’inquinamento; le abitudini delle persone sono rallentate e gli sprechi si sono ridotti: si ha tempo per cucinare di più e comprare di meno, si cerca di consumare quello che si ha in casa e si provano nuove attività per trascorrere il tempo.

Secondo Michael Osterholm, direttore del Centro Malattie Infettive dell’Università del Minnesota, il virus sta insegnando in modo tragico importanti lezioni su “cosa facciamo quotidianamente, come lo facciamo e dove lo facciamo’’ aggiungendo che ogni crisi è un momento educativo per le scelte future’’.

Il cambiamento climatico è qualcosa di reale come dimostrato anche dai tanti interventi TED raccolti nel mondo. Questa crisi che stiamo affrontando supportando i medici, proteggendo i più deboli stando in casa e cantando con il vicinato affacciandosi alle proprie finestre ci sta dimostrando che siamo ancora in tempo per cambiare il futuro: perché alla fine è vero che #andràtuttobene ma con le nostre scelte, dopo questa tempesta, potrà andare ancora meglio.

                                                                                                                                                                                   Federica Nocerino